Due riflessioni sulle questioni del credito in Sardegna

imageDopo l’approvazione del bilancio del Banco di Sardegna, un post di Francesco Pigliaru pone con serietà il tema di quale vantaggio per la Sardegna nel fatto che la Fondazione del Banco continui a detenere una quota così ampia della proprietà della banca, anziché venderla e fare investimenti diversificati e iniziative strutturate in campo sociale ed economico. Mi limito ad alcune valutazioni politiche personali per interloquire nel merito che confido non passino per una pretesa competenza economica.
Se fossimo in un mercato perfetto penserei che la soluzione ideale sia quella di una fondazione del Banco dedicata alla attività di promozione sociale e culturale e di sostegno alla ricerca strategica o dedicata a costruire ospedali e asili nido, tuttavia uno sguardo ad alcuni dati economici ed alla situazione dell’isola mi inducono ad una riflessione diversa a partire da dati leggibili nel bilancio appena approvato.
Il Banco é presente in tutto il territorio sardo, in molti paesi dove il mantenimento degli sportelli non può essere redditizio. Il risparmio raccolto ammonta a circa 10 miliardi di euro all’anno, che in massima parte resta nell’isola come prestiti a famiglie e imprese. Il bilancio 2012 presenta un passivo di 20 milioni per l’accantonamento di 300 milioni per sofferenze.
I dati dell’Abi, l’associazione delle banche italiane, ci dicono che nell’isola il livello di sofferenza é circa il doppio rispetto alle regioni dove opera Bper, ovvero le imprese e le famiglie sarde fanno il doppio della fatica a restituire i soldi a loro prestati. Le conclusioni sembrerebbero ovvie: per la banca sarebbe conveniente dare prestiti dove sono più sicuri, non in Sardegna.
Perché non lo ha fatto sinora? La mia opinione é che sia per la presenza di un socio unico forte del 49% della proprietà che lo vincola al territorio, per il modello di banca partner, la Bper, e per i patti parasociali, voluti da Brusco, e per la loro successiva difesa.
Sarebbe un bene se il Banco di Sardegna non si sentisse impegnato nel privilegiare l’isola e investisse fuori la maggior parte del risparmio? Se ci fosse un’altra banca disponibile a fare prestiti dove il rischio di non avere indietro i soldi a causa della crisi economica é doppio, certamente. Tuttavia così non é successo.
Chi pagherebbe un simile disimpegno nel sistema sardo? Le famiglie e le imprese piú in difficoltà, quelle più a rischio e già ora a rischio di marginalità.
Penso che la già precaria situazione del credito in Sardegna vedrebbe venir meno un attore già determinante in questa fase di resistenza alla crisi e fondamentale per una potenziale ripresa.
É stato fatto tutto bene in questi anni? Forse si poteva fare di più ma occorre giudicare utilizzando condizioni analoghe e non ideali.
Insomma, se fossimo di fronte ad una geografia differente da quella sarda o ad una economia consolidata e in crescita, canterei con convinzione le doti del mercato perfetto ma così non é. D’altronde la crisi morde così profondamente che neanche una economia come quella italiana o francese riescono a ripartire da sole, e abbiamo gli stati che aiutano le banche perché non falliscano e con esse i risparmi dei cittadini.
Personalmente vedo necessario, per lo stato dell’isola, l’esigenza di evitare il disimpegno di qualunque soggetto di interesse pubblico, anche se privato come una banca, nella difficile definizione e conduzione di una strategia di ripresa per la Sardegna. Vedo con preoccupazione i molti tentativi di semplificazione e le scorciatoie propagandistiche sul futuro dell’economia sarda. Vedo anche molti pregiudizi da affrontare. La civilissima ed evoluta Germania ha un sistema bancario composto da alcune grandi banche private e un reticolo di casse di risparmio e piccole banche, che usano la conoscenza del territorio per minimizzare i rischi sul credito, in una interazione trasparente con le istituzioni locali.
Ovviamente le mie argomentazioni sono politiche generali e non intendono minimamente essere di interferenza nei confronti di nomine che non ci competono. Sono convinto che i rappresentanti selezionati dalle imprese tramite le camere di commercio, dal sistema della conoscenza tramite le università e dal sistema degli enti locali perché rappresentanti più vicini ai cittadini non saranno subalterni a nessuno nello scegliere chi deve guidarli, se non al bene comune al quale sono chiamati in piena autonomia, individuando la persona più adatta e autorevole ad interpretare una scelta di campo economica e sociale. Senza farsi tirare la giacca da interessi volatili di qualche corrente politica.
Infine un sassolino da levare, niente lezioni dal Pdl e dai suoi sodali, non ne hanno il profilo né locale né nazionale, e niente lezioni da chi esaltava il modello Siena, che in Sardegna non c’é mai stato. Qui si é puntato già molti anni fa su competenze e professionalità e sul pluralismo delle rappresentanze.
Talvolta ai sardi é utile ricordare di non essere sempre gli ultimi in classifica.



Categorie:In Sardegna

2 replies

  1. Non ho alcune competenza bancaria o economica: ma il ragionamento di Silvio Lai mi pare equilibrato logico e convincente ma….perchè l’accenno alle persone da nominare – alle cariche dunque – se non ci fosse maretta? No, credo che la separazione delle fondazioni dalla ingerenza dei partiti sia al primo posto, in modo tale da costrigere dette fondazioni a fare SOLO quello per cui sono state inventate,

  2. Thanks for the article, can you make it so I get an email sent to me whenever you make a fresh post?

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